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Internet non capisce nulla di amniocentesi



In rete compare ancora un vecchio dato danese sul rischio di aborto dopo amniocentesi. Le ultime ricerche su un campione vasto dimostrano che è innocua.

Purtroppo si legge e si sente ancora parlare di un rischio aborto dopo l'amniocentesi, l'esame di diagnosi prenatale. Fornire alle donne informazioni precise e aggiornate sui test diagnostici prenatali invasivi e non invasivi è fondamentale per consentire scelte basate sull’evidenza. Un approccio di medicina difensiva che fornisce tassi di perdita fetale sbagliati, irrealistici e anacronistici per le procedure invasive, o capacità diagnostiche fuorvianti per i test di screening (come il Dna fetale su sangue materno) dovrebbe essere respinto dalla pratica clinica. Purtroppo non è sempre così! Il rischio di aborto dopo l’amniocentesi ancora citato su internet dell’ 1% (e purtroppo anche da molti ospedali) deriva da una pubblicazione del 1986 di un piccolo trial randomizzato del maggio 1984 nel quale si comparava il rischio tra chi vi si sottoponeva e chi no. Il lavoro presenta moltissime limitazioni che gli addetti ai lavori ben conoscono:

1) L’amniocentesi veniva eseguita senza guida ecografica e con macchinari meno performanti di adesso.

2) Si utilizzavano aghi di diametro grandissimo, di circa 18G rispetto agli odierni 22G: 1.5 mm invece degli attuali 0.9 mm

3) Non si eseguiva la profilassi antibiotica

4) Lo studio è stato condotto in Danimarca in un singolo centro su appena 4000 donne (delle quali non tutte sottoposte ad amniocentesi!)

La letteratura degli ultimi 10 anni afferma concorde che quel lavoro è obsoleto, mal condotto e non rappresentante la realtà. Infatti nel 2006 il Faster Trial ha stabilito una differenza di aborto tra chi la eseguiva e chi non la eseguiva di circa lo 0.06% dichiarandola non significativa; tradotto vuol dire che in questo studio grandissimo chi eseguiva l'amniocentesi abortiva come chi non la eseguiva . Da allora la maggior parte degli studi controllati che affrontano questo problema non sono più riusciti a confermare il "dogma", dell' 1% sia dopo l'amniocentesi sia dopo la villocentesi. Così, il Gruppo della Washington University di St. Louis ha pubblicato i risultati di uno studio nel 2008 sull’esperienza di 11.746 amniocentesi e 5243 villocentesi. Arrivando alla conclusione che il tasso di perdita fetale era dello 0,13% attribuibile all’amniocentesi e dello 0,7% imputabile alla villocentesi. Queste percentuali non erano differenti da quelle osservate nelle donne che non si sottoponevano a nessuna procedura. Nel 2009 l’Apga trial - il più grande lavoro randomizzato controllato eseguito in diagnosi prenatale - su 36.347 donne per misurare l’efficacia della antibiotico profilassi prima della procedura ha dimostrato un abbattimento del rischio di circa l’80%. Infatti l’abortività in chi eseguiva la profilassi era di circa lo 0.03% mentre in chi non la eseguiva circa lo 0.28%. Percentuali bassissime, dunque, anche fra chi non esegue l’antibiotico, e percentuali di incidenza reali di abortività ben lontane dall’obsoleto 1%.

Infine la metanalisi del 2014 (studio che riprende tutti gli studi pubblicati in letteratura su un determinato argomento) ha stabilito come il rischio reale e ponderato dell'amniocentesi sia intorno allo 0.1% e della villocentesi attorno allo 0.2%. Si afferma con assoluta certezza anche in questo lavoro che chi si sottopone alla amniocentesi o alla villocentesi non abortisca di più. Ciò è correlato ovviamente alla esperienza dell’operatore e si afferma come questo rischio sia ancora più basso in centri ove si eseguono tante procedure. Infine anche gli autori di questo lavoro insistono sulla necessità di informare le gestanti per rendere la loro scelta il più possibile libera e informata.